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lunedì 29 agosto 2011

Cartellino russo

Nell’epoca di internet,  della ricerca spasmodica del trafiletto d’agenzia a basso costo o del corrispondente locale da indennizzare con buoni benzina o sorrisi, Gazzetta dello Sport manda un inviato (Luca Bianchin) a seguire un match di Russian League. Il columnist della rosa spintosi sino a Rostov (6 ore di volo di Vienna, 7 via Mosca) verga d’italico inchiostro il debutto con rete del neo calciatore più pagato al mondo ma non racconta un paio d’altre verità che forse nessun italiano vorrebbe assimilare. Primo:  chi parla di Spalletti, Criscito, Bocchetti, Bruno Alves ed Eto’o come pensionati di platino ai confini dell’impero ha una visione assai limitata nel tempo del calcio che sta cambiando. Già un anno orsono Sky aprì un’importante finestra sul pallone in cirillico, trasmettendo le gare della Russian League. Un simpatico esperimento per coprire il buco estivo dei campionati europei? Forse, ma anche quando i fratelli Wright provarono a volare ci fu qualcuno che diede loro qualche mese di celebrità prima che si tornasse alla saggezza millenaria dell’andare a cavallo. Come forse pochi sanno, da questa stagione la Russian League si adeguerà ai campionati europei : durata settembre-maggio. Per riuscirci, è prevista una sorta di maxi-stagione che terminerà a braccetto con gli altri tornei continentali. In sostanza, i russi ci stanno rivelando di non aver solo i soldi, ma anche la capacità di pianificare e romper quell’invisibile vetro che li fa apparire spesso tanto, troppo lontani dall’Europa. Secondo: alcuni criteri geografici -del pallone ma non solo- non esistono più, nell’era di internet e del mondo globale Nuoro è più lontana da Parigi e Zurigo di Mosca o Beirut. Il famigerato Anzhi, la squadra che dopo Eto’o ha provato a sedurre anche Dani Alves con 15 milioni d’ingaggio, è di Makhachkala, capitale del lontano, caucasico, selvaggio e pericoloso Daghestan? Embè, dove sta il problema? Calciatori e staff vivono (da papi, per rendersene conto oltre agli zeri degli stipendi basta legger qualche tweet-resoconto del brasiliano Diego Tardelli) e si allenano a Mosca, recandosi nella scomoda e politicamente instabile repubblica sul mar Caspio solo in occasione delle partite casalinghe. Jet da Mosca, novanta minuti e risali. Morale della favola:  non importa più granchè dove ha sede una squadra per convincer un calciatore a farne parte. L’onnipotenza del dio danaro consentirebbe –per ora in via solamente ipotetica, of course,ma attenti  a non mai dar nulla per scontato in questo mondo in perenne mutazione- di metter su squadroni in Algeria o Libia facendo base a Roma oppure in Islanda godendo di comforts e campi d’allenamento londinesi. Due stagioni orsono in Russian League giocava il Vladivostok: siamo all’estremo est dell’immensa Russia, sul Pacifico ed a uno sputo da Hokkaido e Seul. Benvenuti quindi nel calcio senza più frontiere né pudore: chi si ferma è perduto oppure povero. Guarda caso, l’identikit il calcio italiano che sta assumendo entrambi i connotati. Per riderci su: nel Daghestan, dove Eto’o riceve 55000 euro al giorno di stipendo, i russi rappresentano solo il 18% della popolazione. Al primo posto col 21% ci sono gli Avari.

Come si comporterà il Novara in serie A?